L'infanzia
trascorsa a Livorno è
ricca di aneddoti premonitori circa la sua vocazione di scienziato: lo
zio Antonio fu infatti costretto a costruire un modellino del campanile
per soddisfare la curiosità fisico campanaria, mentre
all'apertura
del tratto ferroviario Torino - Santhià lo si vide accorrere
ogni
giorno alla stazione locale per gioirsi della potenza della vaporiera e
del suoi misteriosi congegni .
L'aneddoto
più bello ci viene
ricordato da Firpo in «Galileo Ferraris»
(Elettrotecnica,
ottobre
1973): «... bambino seienne, affardellò un giorno
tutti i
libri dismessi dal fratello maggiore su cui riuscì a metter
mano
ed andò a prender posto su un banco della quarta classe
nella
scuola
comunale; al maestro che gli domandava stupito come fosse capitato in
quell'aula
rispose: "non voglio mica diventare un asino, io", venne
così
accompagnato
in prima, minuscolo volontario, prima di aver toccato l’
età
prescritta...
».
Nel
gennaio del
1855 lo colpì
un lutto precoce, morendo la madre Antonia Messia di cui
serberà
sempre una «sacra edificante memoria» mentre appena
decenne
fu costretto ad abbandonare l'amata Livorno ed il calore della famiglia
per frequentare a Torino il ginnasio, alloggiando nella casa dello zio
paterno, il medico Carlo, in via Cavour, e solo la dedizione allo
studio
gli poté in parte lenire il doloroso distacco.
Il 29 settembre
1869, non ancora
ventiduenne, ottenne la laurea in ingegneria civile, dissertando su
svariate
tesi, di cui pubblicò, nello stesso anno, la principale:
«Sulle
trasmissioni telodinamiche di Hirn»; prima pietra del suo
contributo
alla scienza .
L'anno seguente, il
primo febbraio,
accettò il posto di assistente alla cattedra di fisica
tecnica
nel
Regio Museo industriale di Torino occupata dal prof. Giovanni Codazza a
cui dovette succedere come incaricato nel 1877 dopo un settennio di
collaborazione
e di formazione reciproca.
Morte del fratello
Unico neo di questi
anni fu la perdita
del fratello Adamo, caduto a Digione il 23 gennaio 1871, per cui si
gettò
con più fervida lena nel lavoro; ad un amico scrisse:
«io
non posso che studiare; non vedo altra consolazione maggiore fra le
desiderabili,
che quella di poter applicare le cose studiate, di creare».
Nello stesso anno
(4 gennaio) si
iscrisse alla Società degli Ingegneri e Architetti di
Torino, di
cui sarà presidente negli anni 1882/83.
L'anno seguente
presentò una
tesi per l'aggregazione alla facoltà di scienze
«Sulla
teoria
matematica della propagazione dell'elettricità nel solidi
omogenei
».
Nell'agosto
del
1875, in qualità
di delegato italiano venne inviato a Breteuil per la seconda conferenza
internazionale di pesi e misure e due
anni dopo
pubblicò un interessante
studio su «Le proprietà degli strumenti
diottrici»:
seguirono diversi studi e memorie, che unitamente alle relazioni,
furono
pubblicate postume dall'Associazione Elettrotecnica Italiana, Milano -
Hoepli, 1902-1904 - in tre volumi comprendenti l'intera opera dello
scienziato.
Nell'aprile
del
1879, tenne a Torino
cinque conferenze «Sulla illuminazione elettrica»
che
colpirono
l'attenzione dell'on. Federico Spantigati, presidente del Museo
industriale,
il quale propose la sua nomina da incaricato in ordinario, a soli
trentadue
anni, senza concorso «per meritata fama di singolare
perizia».
A Torino venne
circondato da sincera
stima ed amicizia e nel 1880 fu ascritto fra i soci ordinari
dell'Accademia
di Agricoltura (3 febbraio) e tra i soci nazionali residenti della
Accademia
delle Scienze (5 dicembre).
Partecipò
quindi alle diverse
grandi esposizioni internazionali quale rappresentante italiano per cui
fu a Parigi nel 1881 e nel 1882, a Vienna nell'83, a Torino nell'84,
nuovamente
a Parigi nell'89, a Francoforte nel '91 ed a Chicago nel '93: nel primo
congresso di Parigi tenne una relazione «Sulle applicazioni
industriali
della corrente elettrica» mentre all'esposizione torinese fu
presidente
della Giuria internazionale, nonché rappresentante italiano
ufficiale
e principale organizzatore della manifestazione.
Nel febbraio 1884
venne anche nominato
professore di fisica generale alla Scuola di Guerra.
Il campo magnetico
rotante
Nel
maggio-giugno
del 1885, finalmente
il risultato più importante del suoi studi, il coronamento
delle
sue ricerche: «Se si immettono in due o più
circuiti
correnti
alterne di eguale frequenza ma di fase diversa basta orientare i
circuiti
in modo corrispondente alle differenze di fase per ottenere da un
dispositivo
immobile un campo magnetico rotante».
L'allievo Ernesto
Thovez ebbe la
fortuna ed il piacere di assistere all'esperimento pochi minuti dopo la
prima prova e così lo descrisse: «...appena giunto
in
laboratorio
(il Ferraris) tolse una bobina da un galvanometro e ne fece costruire
un'altra
dal meccanico. Questi era un po' lento ed il Ferraris, forse l'unica
volta
in vita sua, ne fu irritato; ma dopo alcuni giorni ebbe finalmente la
bobina.
Allora, utilizzando un vecchio trasformatore Gaulard che gli era
servito
per i suoi memorabili studi, per mezzo di induttanze e di resistenze
ricavò
da un'unica corrente due correnti derivate, sfasate l'una rispetto
all'altra.
Fra le due bobine sospese un cilindretto di rame. Il cilindretto si
pose
a girare, dapprima lentamente, poi rapidamente. Il motore a corrente
alternata
era scoperto!» .
Le compagnie
elettriche venute a
conoscenza del nuovo ritrovato diedero la caccia al brevetto con
allettanti
offerte ricevendo per risposta che il risultato del proprio lavoro non
fu mai tenuto segreto e pertanto intendeva lasciarlo di pubblico
dominio;
a chi lo redarguiva, rispondeva: «Sono un professore non un
industriale».
Intanto si andava
creando un'annosa
polemica circa la priorità dell'invenzione tra il Ferraris
che
aveva
presentato una memoria scientifica nel marzo 1888 e l'ingegnere
americano
Nikolas Tesla che aveva registrato un brevetto il primo maggio dello
stesso
anno (43 giorni dopo): due figure nettamente distinte, il Ferraris uno
scienziato, il Tesla un applicato all'industria .
Non
tardò
comunque il Ferraris
ad essere riconosciuto il vero scopritore del campo magnetico rotante e
già nel 1891 all'esposizione di Francoforte, dove, nominato
vicepresidente
fu chiamato alla presidenza nella seconda seduta (12 settembre) in
virtù
della sua importante scoperta. Già nel luglio dello stesso
anno
scriveva al Candellero: «La maggior soddisfazione fu per me
l'aver
veduto come qui tutto sia pieno del Drehfeld Oder Ferrarischefeld e
come
tutti attribuiscono a me l'onore dell'invenzione» ed al
Grassi
scriveva:
«Gli altri facciano i denari, a me basta quel che mi spetta:
il
nome».
A Francoforte
ritornò nel
1889 per risolvere la distribuzione dell'energia elettrica in detta
città,
in collaborazione con i professori Kitter,Lindley, Uppenborn e Weber.
Nel 1887 intanto
aveva istituito
nel Museo industriale un corso speciale di elettrotecnica ponendo in
atto
il primo laboratorio universitario di tale disciplina, formalmente
istituito
con decreto reale del 14 novembre 1888.
E' il momento delle
onorificenze:
il 16 giugno 1889 è socio corrispondente del «Real
Istituto
Veneto di Scienze, Lettere ed Arti»; il 4 agosto 1892
è
socio
della «Società dei XL» e nello stesso
giorno
è
ascritto tra i soci della prestigiosa «Accademia dei
Lincei»
della quale era socio corrispondente già sin dal 18 luglio
dell'anno
precedente. ,
Nel
1893, a
Chicago, venne nominato
vicepresidente della esposizione internazionale ed anche in America con
tacito assenso gli fu riconosciuta la prima idea dell'invenzione: la
visita
americana gli permise di conoscere Edison, alloggiando nella sua
abitazione,
il quale potrà definirlo, nel 1925, con cognizione di causa
«il
più grande fra i grandi che al mondo hanno rivelato la
bellezza
della scienza elettrica»
Durante i lavori
del congresso venne
definita da Galileo Ferraris l'unità di misura del
coefficiente
di induzione «Henry».
Nel 1896
partecipò al congresso
di Ginevra dove ideò la formazione di una Associazione
Elettrotecnica
Italiana, costituta ufficialmente il 27 dicembre dello stesso anno a
Milano,
di cui fu per acclamazione il primo presidente; il 25 ottobre dello
stesso
anno il governo italiano lo nominò contemporaneamente
all'amico
Faldella, senatore del Regno: non per politica bensì in
riconoscimento
dei suoi contributi scientifici e dell'alto prestigio internazionale.
Alla politica si
era però
avvicinato per assolvere un dovere civico e morale: nel 1887 venne
eletto
con ampio suffragio consigliere comunale di Torino, rivestendo
altresì
la carica di assessore; nel 1895 fu eletto consigliere comunale di
Livorno,
carica che manterrà sino alla morte.
Sul pensiero
politico il Firpo (Gente
di Piemonte - Milano 1983, pag. 244) ne trae le seguenti conclusioni
«Non
era fatto per la politica: aveva vagheggiato per l’Italia una
struttura
federalistica, che lentamente ne attenuasse le sperequazioni economiche
e le rivalità municipali, e si ritrovava per nomina regia
membro
del più ligio consesso della monarchia unitaria; provava
diffidenza
per il socialismo, forse un'avversione istintiva, ma non aveva mancato
di aderire fin dal 1885, alla Società operaia della sua
Livorno,
alla quale non trascurava di inviare discreti contributi di
denaro».
A Livorno in festa
per l'alto riconoscimento
(nomina a senatore), Galileo Ferraris con un memorabile discorso il 6
gennaio
1897 lasciava intendere il suo testamento morale.
Nel gennaio 1897
venne nominato presidente
della Commissione Superiore Metrica Italiana.
Il 31 gennaio,
dopo
una domenica
di assiduo lavoro, lo colpì una forte febbre ma il mattino
seguente
volle stoicamente presentarsi puntuale alle lezioni: dopo mezz'ora era
spossato «Signori, la macchina è guasta, non posso
continuare».
Una settimana dopo,
il 7 febbraio
1897 , Galileo Ferraris cessava di vivere; erano le 17,25 nella sua
abitazione
di via XX Settembre in Torino: non aveva ancora compiuto i
cinquant’anni
di età.
Unanime il
cordoglio del mondo, particolarmente
Livorno e Torino, rispettivamente patria natale ed adottiva, seppero e
vollero rimandarne la memoria ai posteri.
Livorno nel 1897 si
munì di
illuminazione elettrica, primo Comune nel vercellese, un anno prima del
capoluogo; nel 1902 gli scoperse un bellissimo monumento opera dello
scultore
fiorentino Ildebrando Bastiani nella piazza principale a lui dedicata;
nel 1925 si fregiò con onore del suo nome mutando il proprio
in
Livorno Fertatis; nel 1931 inaugurò un Museo Sacrario per
tramandarne
al posteri vita ed opere; nel 1947 (centenario della nascita) e 1975
(cinquantenario
della titolazione di Livorno Ferraris) volle riaggiornarne il valore
dedicandogli
una festa per ringraziarlo d'aver permesso al Livornesi d'oggi di
gloriarsi
della sua eredità.