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Meucci, genio rinascimentale    distrutto dal sistema americano

Articolo tratto dal quotidiano:   Il Corriere della Sera - Lunedi 17 Giugno 2002

    
    Meucci, genio rinascimentale   distrutto dal sistema americano

Già nel 1871 un documento attestava la sua invenzione del telefono Ma perse la sfida con Bell e morì povero. Riabilitato dopo 113 anni               
       
Già nel 1887 un tribunale aveva sancito il torto di Bell e la precedenza di Meucci nell’invenzione del telefono. Più che celebrare il voto del parlamento  di Washington giova allora forse ricordare che la sua vita nel nuovo mondo fu fuori posto come poteva esserlo quella d'un italiano del Rinascimento. Per lui  contavano non la praticità capitalistica ma l'invenzione e l'estetica. E quindi gli toccò quanto sarebbe avvenuto anche ai geni del Rinascimento, fosse toccato  loro di vivere nella sua stessa America.

   
Antonio Meucci nacque nel 1808, quand'ancora Firenze era occupata dai napoleonici, in una famiglia modesta. Poté  anche frequentare dei corsi di Belle Arti; dopo essere stato daziere, divenne meccanico teatrale, il che significava allora inventore di marchingegni. Vi si votò  con mite tenacia. Ma quel che d'infantile, brusco e silente ch'era in lui, gli covava nel cuore altre due passioni: gli esperimenti più strani d'elettricità fisiologica,  per cui appiccicava elettrodi di rame addosso a chiunque, e Mazzini. Per il quale si costrinse all'esilio, via da quel suo Gran Ducato, che era in tutto ancora  simile alla fiaba di Pinocchio. 
Via, nemmeno trentenne per il mondo; povero emigrante con la moglie Ester, fino a Cuba, dove divenne primo meccanico del teatro dell'Avana. Il melodramma,  l'indolenza generosa di tutti, il mare e le stelle diedero ai due il privilegio d'essere felici e saperlo. Ma Meucci era pure chimico con metodi più simili a quelli  alchemici che ai moderni, ma efficaci. Inventò un suo metodo per galvanizzare i metalli. Ne ottenne grande fama d'inventore. Le sue macchine teatrali  automatiche, veri artifici rinascimentali, intanto sulle note di Donizetti meravigliavano le ricche creole come le povere mulatte. Egli amministrava coi suoi  marchingegni la fantasia, quel liquido magico che apre gli occhi della mente. Ma era, e restava un mazziniano umanitario. E riecco la sua mania di curare tutti  con l'elettromedicina, nel suo laboratorio, dietro il Teatro dell'Opera. Curava con gli impulsi elettrici, e divenne maestro nel dosare forze e lunghezze delle  scosse, certo d'alleviare le pene dei pazienti. Funzionò un poco anche per sua moglie Ester, che si era nel frattempo scoperta malata della più grave artrite. 
 
Dall'estasi al male estremo: Meucci visse l'amore ottocentesco. Ma un giorno quand'aveva ormai 41 anni con un tale malato gli occorse un caso strano. Infilò un  tetrodo di rame nella bocca di costui e gli lasciò l'altro nella mano. Quindi andò nella stanza vicina attaccò i fili; uno all'apparecchio per l'elettro impulso e  l'altro sulla propria lingua per meglio dosare la scossa. Giù la levetta. Il malato saltò sulla sedia; malgrado la distanza Meucci sentì sulla sua lingua le parole  che l'altro diceva. E la fisiofonia, di quelle correnti conformanti, divenne l'idea della sua vita: trasmettere la voce con un filo.   Seguirono altri esperimenti, coi più teneri fili di rame e un cono di cartone e fiumi di denari spesi, senza mai badarvi. Finché un incendio ridusse in cenere il suo  teatro, e lo costrinse a emigrare a New York dov'era gran fervore di teatri. Ma quel nuovo mondo non era ansioso d'accogliere stranieri. A Meucci non rimase  che fondare, col tenore Salvi, una fabbrica di candele. E accogliervi gli esuli italiani, persino Garibaldi, che poi così scrisse: «Il mio amico Antonio Meucci,  fiorentino e brav'uomo, benché lavorante suo, mi trattò come uno della famiglia e con molta amorevolezza». Come dovette trattare pure gli altri esuli impiegati  della sua fabbrica, nella quale produceva una candela senza fumo da lui inventata. Il Meucci non aveva talento per il lucro; né le chiacchiere degli esuli  potevano farlo ricco. Ma seguitò a sperimentare il teletrofono, come lo si chiamava. Tanto da sentire la voce della moglie Ester, ormai paralizzata nella sua  stanza al secondo piano, fino nella fabbrica vicina, commuovendosene. Ma la fabbrica dovette liquidarla nel 1855, e con essa i suoi risparmi. Altri raggiri di un  socio americano significarono la definitiva rovina. Eppure tra il 1850 e il 1862 costruì almeno trenta diversi modelli per far vibrare l'elettricità con la parola.  Usò membrane, segnò leonardesche ampiezze vocali, mescolò sale marino, grafite, sapone, acido muriatico, asbesto, zolfo, resine, per trattare i fili di conduzione.  E persino inventò dei teletrofoni marini, che Jules Verne non avrebbe disdegnato; con toni diversi a seconda della gravità delle tempeste.   Ma intanto ogni agiatezza era sfumata: era solo un vecchio operaio, fabbricante di candele fallito. Non desistette, alla moglie spiegava che quel telegrafo  parlante, prima o poi: «Ci farebbe andare in carrozza e ci farebbe ricchi». Ma fu inutile mandare un tal Bendelari alla ricerca di capitali in Italia. E gli  americani non gli badavano; e i 250 dollari del brevetto, per un vecchio in miseria erano troppi. A 62 anni lo scoppio della caldaia d'un vaporetto gli provocò  tre mesi di ricovero, ustioni per le quali quasi non morì. Per curarlo la moglie ebbe la pena di dover vendere tutti suoi marchingegni telefonici per sei dollari a  un rigattiere. E tuttavia, se non un brevetto, Meucci nel 1871 ebbe un caveat , un documento a buon mercato che descriveva l'invenzione e ne fissava la priorità. Nel  1874 affidò i nuovi modelli al vicepresidente dei telegrafi della Western Union, dopodiché non se ne vide più ricevuto. Quando protestò nei vestiti lisi di un povero  vecchio, gli dissero poi che li avevano perduti. 

   
 Rabbia e pianto senza lacrime pure quando nel 1876 lesse sui giornali di New York che Alexander Graham Bell aveva inventato, lui, il telefono. In America ogni  innovazione è costruita sul tornaconto, come richiede del resto il fatto che una cosa è l'innovazione che frutta; altra la sua invenzione originaria. Così quando Meucci  gli fece causa Bell minimizzò. Neppure servì a molto che nel 1887 i giudici riconoscessero che il brevetto di Bell era annullato per frode. Il caveat di Meucci era  scaduto, senza dollari lui non l'aveva rinnovato, e dunque non ne ottenne benefici. Meucci, era un genio ma anche, come scriveva Garibaldi, un gran brav'uomo,  perciò se ne morì poverissimo, e in un mondo che non era il suo. Bell invece era nel suo solo mondo: riprese i modelli di Meucci dalla Western Union. E mise in  produzione un'idea con una ferocia non amorevole ma pratica, venale: quel gioco del più forte, che è anche l'America.  
 
Articolo tratto dal quotidiano:
                                         Il Corriere della Sera - Lunedi 17 Giugno 2002